domenica 21 agosto 2011

Per chi suona il Campanile


C’è chi dice che il Campanile di Val Montanaia sia un «urlo di roccia». Ebbene, contemplando dal bivacco Perugini la cortina di roccia che gli si staglia attorno ad anfiteatro, non si può che assentire: alto più di cento metri e largo non più di venti alla base, pare infatti l’unico ad uscire dal coro dolomitico che circonda la valle, rivendicando, quasi con spirito libertino, il proprio essere a sé stante. Già, sembra proprio gridare. Ma cosa? Per capirlo, occorre guardare ben altro.
Sono stato al bivacco Perugini venerdì 19 agosto, assieme a mio padre. Gli ottocento metri di dislivello che lo separano dal rifugio Pordenone, e che si allungano per lo più sul ripido ghiaione del rio Montanaia, valgono veramente la pena di essere fatti. Eppure la solita nota stonata non manca mai: alle pendici del Campanile, imperversavano «cocci aguzzi di bottiglia» (non quelli metaforici di Montale), e tanto all’interno quanto all’esterno del bivacco c’era un macello di pattume e disordine. Senza contare le solite cartacce e i soliti mozziconi gettati qua e là.
Non mi è stato difficile allora comprendere cosa gridasse il Campanile, con insolito e roccioso coraggio: data anche la forma, un assordante e silente «vaffanculo». Il vaffanculo della natura all’uomo.

martedì 9 agosto 2011

Un pollo - vaneggiamenti

Un pollo cinto d'una zucca vuota
vede lontan l'ontano morto, presso
la valle molto candida che adesso
suona di gioia della Sacra Rota.

Riverbera la luce ed ogni nota
alquanto lo compiace, ed il cipresso
lo incita a voler un bell'amplesso
con il muflone che in montagna nuota.

Dissolve nell'Avesta il suo pensiero,
ove le gioie del suo cuor han posto,
per ricercar nel nulla un altro impero;

ma ovunque vada vede ogni suo opposto:
vede che non c'è nulla di più nero
del fumo fetido di pollo arrosto.

Guido, i' vorrei...

Novantacinque anni fa la tisi finiva uno stremato Guido Gozzano, ad appena trentadue anni. La sua voce fisica doveva ormai essere qualcosa di inascoltabile, strozzata da continui colpi di tosse; ma la sua voce poetica, troppo spesso sottovalutata, suona ancora, densa di sentimenti, come quella di chi, pur sapendo di avere i giorni contati, trova «rifugio» nella forma poetica. Una forma semplice e sperimentatrice, benché nel solco degli illustri predecessori, che non di rado assume tratti ludici e irriverenti.
Così Montale scrisse di Gozzano:
«Colto, intrinsecamente colto se anche di non eccezionali letture, ottimo conoscitore dei suoi limiti, naturalmente dannunziano, ancor più naturalmente disgustato del dannunzianesimo, egli fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse (com'era necessario e come probabilmente lo fu anche dopo di lui) ad "attraversare D'Annunzio" per approdare a un territorio suo, così come, su scala maggiore, Baudelaire aveva attraversato Hugo per gettare le basi di una nuova poesia.»
Numerosi sono i componimenti a mio avviso degni di nota. A me piace ricordarlo con il finale de "La via del rifugio", del 1907, che racchiude abbondantemente l'essenza della poesia gozzaniana e della sua breve esistenza.
«La vita? Un gioco affatto
degno di vituperio,
se si mantenga intatto
un qualche desiderio.

Un desiderio? Sto
supino sul trifoglio
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.»

lunedì 8 agosto 2011

"Bio", "eco", ed altri placebo

"Dopo lo shampoo, il balsamo". No, non è l'ennesima rilettura della celebre citazione ("Dopo di noi, il diluvio") di Madame di Pompadour; è, bensì, la prassi ormai consolidata dei miei lavaggi di capo, quelli non metaforici. E il balsamo non è neppure un balsamo qualsiasi, se quanto scritto sull'etichetta è tale da interrompere la mia "Locomotiva" (questa sì una rilettura, con erre moscia gucciniana integrata). Una scritta, a belle lettere verdi, campeggia sul davanti: "98% biodegradabile". Lì per lì mi limito solamente a tirare ad indovinare quale diabolica amalgama contenga il restante 2%. Poi vado un pochino oltre (mentre ormai la "Locomotiva" ha perso definitivamente le speranze di correre ancora).

Aldilà della storiella, di prodotti bio&co per casa mia ne imperversano parecchi, ed è difficile non osservare come, in definitiva, non siano altro che l'ennesima trovata di mercato. Solo che fino a poco tempo fa - consuetudine ancor oggi, ovviamente, in gran parte in voga - il marketing puntava sull'istintualità e sugli aspetti ferino-libidinosi in generale dell'uomo, facendogli credere che tramite l'acquisto, questi trovassero pieno appagamento; bio&co, invece, agiscono sulla coscienza dell'individuo, aprendo ad ampi interrogativi.
Quando l'individuo, infatti, è pienamente consapevole che un prodotto biologico, almeno sulla carta, non danneggi, oltre che se stesso, l'ambiente - o che lo faccia comunque in misura minore di altri prodotti -, allora il problema di base (di quello a monte parlerò più avanti) non si pone. O meglio, si pone solo dal punto di vista etico, poiché il produttore lucra sul bene di tutti: ma questa è altra storia. I problemi cominciano a verificarsi quando l'acquisto di un prodotto biologico ingenera nella coscienza dell'individuo un effetto placebo del tutto nocivo: guai a percepire (lo uso al posto di 'pensare', perché mi pare più consono al concetto di 'coscienza') che, comprato un balsamo eco-compatibile in luogo di uno più inquinante, ci si possa sentire in pace ed armonia con l'universo; ma guai anche a percepire che l'individuo sia dotato di super-poteri.
Il problema più grosso, infatti, subentra assieme al concetto di "proprio piccolo", che lascia l'individuo solo in balia di se stesso, nascondendogli la nuda verità. La questione non si pone a livello privato, perché comprare prodotti eco-compatibili, così come differenziare e, allargando ancora di più, contribuire a cause umanitarie, salveranno sì la coscienza del singolo, ma non salveranno mai il pianeta.
A delineare il concetto, concorre qui in maniera grandiosa Giorgio Gaber in "Mi fa male il mondo":
«Mi fa male… quando mi suonano il campanello di casa e mi chiedono di firmare per la pace nel mondo, per le foreste dell'Amazzonia, per le balene del Pacifico, e poi mi chiedono un piccolo contributo, offerta libera, soldi, tanti soldi, per le varie ricerche, per la vivisezione, per il terremoto nelle Filippine, per le suore del Nicaragua, per la difesa del canguro australiano… Devo fare tutto io!?!»
Tutto ciò fa capire come il vero problema, quello che il marketing e gran parte delle associazioni umanitarie - volenti o nolenti - non ci fa vedere, sia ben al di sopra delle potenzialità del singolo, a un livello specialmente politico, e di mentalità politica (e il fatto che i luoghi a percentuale più alta di raccolta differenziata siano anche quelli dove domina la Lega Nord è un altro dato curioso).
L'individuo, in sostanza, fa - e deve fare - quel che può, con consapevolezza. Ma per salvare il pianeta occorre ben altro.