martedì 9 agosto 2011

Guido, i' vorrei...

Novantacinque anni fa la tisi finiva uno stremato Guido Gozzano, ad appena trentadue anni. La sua voce fisica doveva ormai essere qualcosa di inascoltabile, strozzata da continui colpi di tosse; ma la sua voce poetica, troppo spesso sottovalutata, suona ancora, densa di sentimenti, come quella di chi, pur sapendo di avere i giorni contati, trova «rifugio» nella forma poetica. Una forma semplice e sperimentatrice, benché nel solco degli illustri predecessori, che non di rado assume tratti ludici e irriverenti.
Così Montale scrisse di Gozzano:
«Colto, intrinsecamente colto se anche di non eccezionali letture, ottimo conoscitore dei suoi limiti, naturalmente dannunziano, ancor più naturalmente disgustato del dannunzianesimo, egli fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse (com'era necessario e come probabilmente lo fu anche dopo di lui) ad "attraversare D'Annunzio" per approdare a un territorio suo, così come, su scala maggiore, Baudelaire aveva attraversato Hugo per gettare le basi di una nuova poesia.»
Numerosi sono i componimenti a mio avviso degni di nota. A me piace ricordarlo con il finale de "La via del rifugio", del 1907, che racchiude abbondantemente l'essenza della poesia gozzaniana e della sua breve esistenza.
«La vita? Un gioco affatto
degno di vituperio,
se si mantenga intatto
un qualche desiderio.

Un desiderio? Sto
supino sul trifoglio
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.»

Nessun commento:

Posta un commento