Siamo alle solite. Cambia il gesto efferato, ma i meccanismi nell'opinione pubblica restano immutati. Il carnefice, ora, non è uno "zio mostro" - che poi, si scopre, tanto mostro non è - né tantomeno un qualsivoglia dittatore ammazza-tutti: è un semplice essere di trentadue anni che ancora una volta è riuscito nella paradossale impresa di accomunare la buona novella del Gesù evangelico ad un riaggornato folle "Mein Kampf"; e di far fuori, al momento in cui scrivo, novantatré persone, il più delle quali giovani tra i tredici e i quindici anni. E di ritenere di non aver «fatto nulla di riprovevole».
Lo schock non può che essere impressionante, anche se mitigato, come ogni volta, dal solito distacco televisivo. E come ogni volta impressionanti sono le sequele di grida che invocano un immediato crucifige. Ancora, evidentemente, non si riesce a capire che la giustizia non deve uccidere persone, bensì personalità: non deve cioè essere Anders Behring Breivik a dover morire, bensì unAnders Behring Breivik.
Si dirà - e temo sia vero - che un folle del genere non potrà mai cambiare, neppure se gli venissero concesse altre sedici vite: ma il fatto che lui non possa cambiare in meglio, non significa dover cambiare in peggio noi.
Quanto sia attuale "Dio è morto" penso sia decisamente palese. E decisamente innegabile.«Il momento di negare tutto ciò che è falsità» persiste tuttora. Ed è proprio qui che sta il problema. Già, perché se ancora oggi è necessaro intonarla vuol dire che quella tua «generazione», caro Francesco, non era poi tanto «preparata». Che fine hanno fatto il «mondo nuovo», la «speranza appena nata»? Era davvero così «in mano» il «futuro»? Certo, avvisaglie ce ne sono state, così come ce ne sono ora. Ma forse erano solo colpi a salve, così come a salve saranno probabilmente anche quelli della mia, di generazione: tu hai prestato loro fede, io sono più cauto. E Dio continua ad essere morto.
Il dramma che affligge le canzoni e le parole che restano, in fondo, è proprio questo: perché restino, è necessario che resti anche il mondo.
Eppure pensandola così si finirebbe per condannarle ad un'esistenza meramente retorica, ovvero quanto di più lontano dalle tue pur poetiche canzoni. Il busillis è di quelli più tosti.
Forse la soluzione è proprio continuare a cantarle e a tenerle presente. Forse, e lungi da me intenti religiosi, Dio risorge solo nella misura in cui vogliamo farlo risorgere, appunto, «nel mondo che faremo»; o meglio ancora, nella misura in cui vogliamo far morire "Dio è morto". In sostanza, allora, caro Francesco, ciò a cui dobbiamo mirare è renderti - benché mi dolga - completamente inutile.
Dime, 'rivitu a veder 'ta le prime luʃi de l'alba
quel che 'ven saludà fieri 'ta l'ultimo ragio del tramonto?
E le so larghe strisse e luʃenti stele, cui, 'ta la pericolosa bataia,
sora i bastioni, noialtri se tendeva, e che le sventolava con valor?
E 'l rosso baior dei raʃi, le bombe che le s'ciopava par aria,
i ga dat prova, 'ta la note, che la nostra bandiera la gera 'ncora lavia.
Dime, 'lora, gerelo 'ncora drio sventolar la nostra bandiera 'npienia de stele
'ta la tera dela libertà e la casa dei coragiosi?