giovedì 27 settembre 2012

Quousque tandem...

Finché in Italia si continuerà a scrivere alla Sallusti, il problema del dove finisca la libertà di stampa rimarrà sempre. Perché solo in Italia è usata come un ostaggio in una rapina in banca: se spari al rapinatore, finirai inesorabilmente per colpire anche l'ostaggio. Con tanti saluti ad entrambi.

Da che parte sto? Mah, so solo che se ci fosse un Assange in più e un Sallusti di meno vivremmo tutti in un mondo migliore...

lunedì 18 giugno 2012

L'insonnia dell'empereur


«Grouchy! Grouchy!»
«Calmatevi, empereur.»
«Grouchy?»
«No, sire, calmatevi, sono Las Cases.»
«Ah, sei tu...»
«Come sarebbe "ah, sei tu"?!»
«Vaneggiavo ancora?»
«Ancora una volta...»
«Chi credevo fossi questa volta?»
«Be', prima mi avete ordinato di far avanzare il I Corpo di Armata, quindi direi d'Erlon. Poi avete fatto di tutto per convincermi di quanto fosse fondamentale mantenere il controllo dell'Haye Sainte, il che fa pensare a Ney. Infine, come ogni volta...»
«...speravo fossi Grouchy.»
«Già...»
«...»
«...»
«C'è una cosa che ho notato, tuttavia.»
«Sentiamo, dài. Ti ho chiamato pure Josephine?»
«No, di grazia. Solo, mi è parso che notte dopo notte voi vi stiate dimenando sempre di più.»
«E a cosa credi sia dovuto?»
«Non ne ho la minima idea. Potrei azzardare, però, che la causa sia il sempre maggior distacco dalla patria.»
«Queste sono suggestioni da donnicciole, caro il mio Emmanuel...»
«E voi credete di essere immune a simili suggestioni, sire? In effetti, è risaputo che urlare a squarciagola i nomi di tutti i propri sottoposti ogniqualvolta si chiude occhio sia cosa senza dubbio normale e comune a molti...»
«Mi diverte la tua ironia, Emmanuel. Dico davvero. E ho sempre più l'impressione che mi tanga.»
«Cosa intendete, sire?»
«"Eventualità, caso, sorte, chiamala come ti pare, mentre è un mistero per gli uomini normali, diventa una realtà per gli uomini dotati di intelligenza superiore". Quante volte te l'ho ripetuta?»
«Dire svariate è poco, sire.»
«Ecco. Lascia stare. Non ci vuole un'intelligenza superiore per capire che se fosse vero non dovrei essere qui.»
«In effetti non vi ho mai creduto più di tanto. Andiamo avanti col Manoscritto? Mando a chiamare Constant?»
«Per l'amor di Dio, no. Lascialo a crogiolarsi nelle sue fissazioni, quell'azzeccagarbugli. Piuttosto, andiamo a prendere un po' d'aria.»
«Ottima idea, il mare pare calmo, oltretutto.»
«La quiete prima della tempesta, si direbbe...»
«Quale tempesta, sire?»
«L'inedia dei prossimi giorni, dei prossimi mesi, dei prossimi anni... Non esiste tranquillità quando non puoi fare rumore.»
«...»
«Mi ascolti, Emmanuel? Che guardi?»
«Non vedete? Terre! Mon Empereur! Terra!»
«Ecco, appunto.»
«Per Dio, perché quella faccia, sire? Non volevate mica morire in mare?»
«Volevo morire in Francia. Il mare perlomeno le era più vicino...»
«Senti, senti... Allora vedete che le mie suggestioni erano fondate?»
«Può darsi, Emmanuel. Anzi, temo di esserne sicuro...»
«...»
«Che giorno è oggi, invece?»
«Sabato 14 ottobre, sire.»
«14 ottobre... Il giorno della vittoria del normanno Guglielmo sui Sassoni ad Hastings...»
«E quindi?»
«Non è che l'inizio, Emmanuel.»

giovedì 1 marzo 2012

Cani veneziani

Dev'essere l'acqua della laguna, o qualcosa di simile. Ma c'è qualcosa di strano nei cani di Venezia e nei loro padroni. Qualcosa di singolare, che, lungi da ogni connotazione negativa, fa del vagare per le calli un'esperienza esilarante.
Quello che segue è un elenco di episodi e di casi cui ho avuto realmente il piacere d'assistere. Del mio, l'ho messo solo nella forma. E la lista sarebbe infinita...


Cani irrequieti, che aspettano la padrona fuori dal Billa, abbaiando fino al suo tardo ritorno.
Cani perplessi, costretti a indossare assurdi giubbetti alla Mick Jagger, fucsia e sgargianti.
Cani stizziti, che addentano il giornale alla padrona, troppo impegnata nelle babaciate mattutine per dar retta a loro.
Cani nervosi, infastiditi dal guinzaglio a tal punto, da procedere su due zampe per contenderlo al padrone coi denti.
Cani-detector, che scandagliano i pantaloni di tutti.
Cani desolati, sfiniti ormai quanto i padroni dai continui ed immensi flussi turistici, che recano ad ogni passante abbai ormai solo pro forma.
Cani dubbiosi, impauriti da ogni cosa galleggi.
Cani spensierati, che si fiondano su ogni cosa galleggi.
Cani sciattoni e menefreghisti, che te la mollano lì.
"Cani" metaforici, che ti scappano perché cani tangibili te la mollano lì.
Cani svagati, col ciuccio al collo per qualche curiosa e bizzarra idea (o abitudine?) del padrone.
Cani che fanno i duri, squadrandosi con prepotenza, in calli a senso unico.
Cani inseguiti dal padrone cui hanno sequestrato il guinzaglio coi denti.
Cani giocosi, che rincorrono gabbiani e piccioni, fermandosi a squadrarli con rabbia quando decidono di asserragliarsi su colonne in difesa.

Cani gioiosi, che vagano per le calli felici, come bizzarramente coscienti del privilegio di vivere, strani, nella città più strana del mondo.

martedì 28 febbraio 2012

Buffon, le pagliuzze e le travi

Per indole, non è tanto l'ipocrisia in sé che odio: essendo parte della natura del genere umano, e in quanto tale interessantissima, ritengo sia tutt'al più da biasimare. E sopratutto, nei casi singoli - non cioè con un rimedio generale che l'annienti una volta per tutte - è perfettamente sanabile. Odio invece l'ipocrisia di chi millanta di odiare l'ipocrita, questa sì davvero subdola e pressoché inguaribile.
Ma nel calcio c'è da rabbrividire. E non parlo degli stipendi milionari, degli scioperi della vergogna o della sempre più densa coltre di combine attorno alle partite. Parlo di una semplice frase. Una frase («Se avessi visto che quello di Muntari era gol, non l'avrei detto all'arbitro»), racchiusa in un'intervista di Buffon nel dopo-partita di Milan-Juventus, che ha sollevato un inutile putiferio. Certo, non è una frase da encomio, e denota - come ben sottolinea qui Severgnini - quanto ormai i colori vengano prima dei principi. Ma ciò su cui voglio soffermarmi non è la condizione del mondo del calcio, bensì una semplice domanda: ha fatto bene Buffon a dire la verità su ciò che avrebbe fatto o avrebbe piuttosto dovuto mentire per fungere da esempio per i pargoli e gli appassionati in generale?
Ebbene, Buffon ha semplicemente parlato di , di quello che avrebbe fatto lui; ha ammesso una propria debolezza, a parole: e in quanti, dopo aver espresso a parole qualcosa di apparentemente scorretto, hanno poi ritrattato nei fatti, la vera - evangelica, si direbbe - fonte di esempio? E se anche non fosse, perlomeno sappiamo che dietro c'è una linea, una coerenza di certo meno distruttiva di quella di Hitler. Se proviamo a ragionare per assurdo, troveremo che in tanti, forse la maggior parte, avrebbero detto il contrario, e forse ai più ciò sarebbe piaciuto in misura maggiore: avremmo però continuato a stagnare nel limbo della retorica compiacente, quella degli ipocriti veri, quella che comunque non cambia le cose. Buffon, dal canto suo, le cose non le ha certo migliorate, ma ha messo in chiaro a parole ciò che succede nei fatti; ha dimostrato «di essere molto più leale di tanti retorici». Perché anche ammettere di non essere leali è dimostrazione di lealtà...
La verità è che abbiamo sempre il bisogno di cercare gli eroi e gli esempi; qualcosa da cui partire e far partire, dimenticandoci di improvvisare, dalle piccole e futili cose come il calcio, fino a questioni ben più complesse. Chi si scaglia e si appende alla frase non lo comprende. E dire che Buffon non è un esempio per i giovani non è solo guardare alla pagliuzza: è anche saldare la trave.

venerdì 27 gennaio 2012

Perché ricordare

Guai a chi dimentica.

Ma evitiamo di ricordare "per non dimenticare": finiremmo per avere soltanto una ricorrenza in più nel calendario.

Evitiamo di ricordare per imposizione televisiva.

Evitiamo di ricordare per pietà, per sciacquarci le palpebre.

Evitiamo di ricordare per moda, per mostrare quanto siamo "civili", per raccogliere consensi.

Evitiamo di ricordare per chiederci anno dopo anno un motivo che - ovvio! - non c'è, per imparare da errori da noi neppure commessi: la Storia, nel suo immenso quanto vano sforzo di insegnarci qualcosa, continua a ripetersi multiforme con sempre nuovi protagonisti, proprio perché quegli errori non siamo stati noi a commetterli.

Ricordiamo per indignazione, per ricordarci che ne siamo e saremmo ancora capaci. Per mostrare che, nell'eventualità in cui le cose si ripetano, noi non staremo in silenzio a piangere altri innumerevoli elenchi da aggiungere ai memoranda.

Il ricordo è autentico solo quando non si perde nel pur utile astratto di una retorica come la mia. Il ricordo deve sapersi fare quanto più concreto, qualora se ne presenti una certo non augurabile occasione.

martedì 24 gennaio 2012

Fiat Panda - Quello che lo speaker non dice

Bella la nuova pubblicità della Fiat Panda. O almeno lo sarebbe se non fosse una pubblicità, specie se della Fiat, se non fosse l'ennesima strumentalizzazione - questa sì squisitamente italiana. Eppure, più che grondare di ipocrisia - che, in quanto parte costitutiva interessante del genere umano raramente mi trovo a voler biasimare, se non nella sua particolare declinazione che tanto abbonda in chi millanta di odiarla - è arida di altro, di un qualcosa che pure mi par di cogliere tra le parole e i silenzi dello speaker...

«Ma quante Italie conosciamo! Quella dell'arte [sì, quella della Fontana del Moro sfregiata e della Casa dei Gladiatori che cade, o di quella dei conservatori che chiudono...], della grande inventiva, quella del talento costruttivo [che siamo bravissimi a far esprimere all'estero...], quella del Paese pittoresco [che ognuno dipinge come vuole...], quella dei giovani che cercano un futuro [e non lo trovano...], o quella [un tempo] capace di grandi imprese industriali. Noi possiamo scegliere quale Italia essere: è il momento di decidere se essere noi stessi o accontentarci dell'immagine che ci vogliono dare [e che giorno dopo giorno li aiutiamo a darci]; questo momento è quello di ripartire [dai?], ripartire nell'unico modo che conosciamo, con il nostro lavoro [quello che gli operai di Mirafiori e Termini Imerese, tra gli altri, non hanno più...] e mettendoci alla prova. Perché in Italia ogni giorno c'è qualcuno che si sveglia e mette nel suo lavoro [quello che loro non hanno più, si diceva...] il suo talento, la passione, la creatività, ma soprattutto la voglia di costruire una cosa ben fatta [con tutto il rispetto, una Panda?].
Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo»

E che dite di quelle che distruggiamo?