"Cultura è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno". È un climax discendente, quello di Karl Kraus, ma che pur celando un aperto pessimismo nel finale, nasconde un grande ottimismo se ci si ferma alla virgola. Prendiamo Pordenonelegge. 100.000 avventori in cinque giorni di rassegna, con la piccola Pordenone ("quella che dista novanta kilometri da Venezia") duplicata: ci vorrebbe coraggio a dire che i più non abbiano ricevuto almeno un po' di cultura. Certo, bisognerebbe vedere quanto abbia attecchito, quanti libri siano stati acquistati e quanti di questi si siano poi salvati dalle mensole dei "vedremo", ma intanto qualcosa si è fatto. Per la cultura, ho visto gente patire la fame, talvolta improvvisando panini durante le file; ho visto vecchie presentarsi tre ore e mezza prima dell'inizio degli incontri; ho visto gente sfidare la pioggia. E ho visto molta speranza: ho visto Mieli anelare ai nostri classici, per ricercarvi il futuro del nostro Paese; ho visto Riondino leggere il lato più umano di chi - Cavour e Garibaldi - troppo consideriamo imbalsamato nei libri di una storia d'Italia quasi solo pragmatica, e per questo distante. Ho visto moduli impregnarsi di firme.
E mentre a Friuli-Doc gli ubriachi cominciavano a popolare le strade, ho visto la piccola Pordenone godersi, una volta per tutte, un "panino con la Divina Commedia".
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