lunedì 23 maggio 2011

Ad A. Z., con disprezzo

Credo che a poco può
servirti per sollazzo
un gran bel gigolò,
che rechi seco un mazzo
di caldi e bianchi fiori,
che tu purtroppo ignori;

temo una tua richiesta,
certo non impudica,
bensì assai più funesta,
temo inver che tu dica:
«... solo se tu favelli
in guisa sol di quelli».

Spero, ch'io ti conosca
insufficientemente,
spero che lui t'agnosca
ineccepibilmente;
spero lui sia bendato:
sennò, tapino, è andato.

Mi scampi Manitù
dall'ira tua un poco
ancora; e nulla più.
E tu, giovine fuoco,
godi di vita lunga,
e mal più non ti giunga!

venerdì 20 maggio 2011

Pillole di rassegnazione "simpsoniana"

Non era la prima volta che la vedevo, la puntata di ieri, quella in cui Lisa decide di diventare vegetariana, eppure ancora una volta mi ha lasciato senza parole, senza il minimo vezzo di riso. E come dimenticarla!
Forse i più ricorderanno la scena in cui il maiale del barbecue di Homer passa davanti alla finestra dell'ufficio di Montgomery Burns, mentre questi afferma che donerà un milione di dollari all'orfanotrofio nel momento in cui i maiali voleranno.
Eppure io la ricordo per un altro particolare. Un particolare del finale, quando Homer, da sempre lo stereotipo del sub-cittadino americano (e non solo), per consolare Lisa le dice:
"Ti capisco, Lisa. Anch'io credevo nelle cose quand'ero piccolo..."
Forse è un'affermazione pessimista, quasi il testamento di una generazione. Eppure io non posso che leggerla anche in positivo: se Homer, l'essere più ignorante che abbia mai (virtualmente) popolato la terra, credeva in qualcosa, abbiamo il diritto/dovere di farlo anche noi.

giovedì 19 maggio 2011

Contra Telehorasem


Cos'è che leva le tue pene al cielo,
Ragion? Cos'è che pure ti percuote
e pïega, con sì accanito zelo?

Dov’è che non sei più richiesta in dote?
Televisione, putrida cloaca!
Nero caldier, figlio di madri ignote

e padri, col cervello d’un alpaca!
Accogli a te il dolce fanciullo, il fiero
adulto e il vecchio altero, e mai si placa

la fame tua di abdurre a loro il vero.
Bàlia pe’l primo, in tua balìa lasciato;
consolazion per l'altro, cui da siero

fungi pe’l male ch'ei s'è procacciato
nel quotidïano viver; e vive
teco il terzo, a te ormai inginocchiato.

Eppur com’è che ancora sopravvive
nel seno tuo un'anche vasta gamma
di genti che, tutt’altro che lascive,

ragionan, pregne dell'antica fiamma?
Angeli, che mi liban d'illusioni;
dïavoli, che irridono il tuo dramma;

Angela, che aiutan più milïoni
da milïoni d'anni senza certo
cedere or che aumentano i coglioni.

E mai non cederanno Piero e Alberto!
E mai verranno messi a testa in giù,
finché il destino a lor sarà coperto.

Scusa, cara, ma scrollati da su
quel torbido torpore che t'invade.
Scusa, cara, non litighiamo più,

ma, sai, a volte l'odio mi pervade...

domenica 15 maggio 2011

Perché "Questioni Bizantine"

Di fronte all’ostacolo del dare battesimo al blog, mi è venuta la geniale pensata di andare a recuperare un opuscoletto di massime, aforismi e modi di dire trovato due anni orsono in una bancarella di Pordenonelegge.it.
Mi incuriosiva la dicitura “questioni bizantine”, un po’ per maniacale culto della storia, un po’ per l’affinità con quando volevo accingermi a realizzare. L’opuscolo recitava:
«Si dice così del preoccuparsi di cose futili mentre sono in gioco gravi interessi, ed anche del discutere, in un grave argomento, le piccole questioni di forma, anziché trattare della sostanza. L’espressione ha avuto origine dalle dispute sul dover dire la messa in greco o in latino, che si agitavano a Bisanzio nel secolo XV, mentre l’impero crollava e il Turco era alle porte.»
Ora, in un epoca in cui ad imperare è il superfluo, e in cui ad essere superfluo è ciò che dovrebbe imperare, mi ripropongo l’obiettivo di correre dietro a tante fanfaluche, a tante «questioni bizantine», con lucido sarcasmo e sfrenata irriverenza.

Irriverendo - ove la poesia nasce, ove la poesia muore

Si sta come
d’inverno
sulla Pontebbana
le troie

Monsieur Giuseppe, la mia stima
vuol esser candida; la mente
desia spaziare ove mai prima.

Ma tu non volermene, cupo
poeta, non irarti oltre,
se il tuo messaggio stupro.

Sappi che la mia irriverenza
è lungi dal voler ristare,
e passa oltre ogni decenza:

parafrasando il gelo
d'un tuo capolavoro,
trova un'icona nitida,
perde d'ogni decoro:

sappi ch’è solo conseguenza
del tuo triste poetare oscuro,
che prima muove affetto puro,
e poscia pura sonnolenza.

Perdona la violenza
che ti reco, perdona
quest’atavico impulso;

ma il gelo del tuo gran dolore
richiede il caldo d’un ilare
gioco, d’un gioco di parole.

Il ritorno di Pasquino


M'indigno, mi svoglio, mi stanco, mi sdegno.
Perdona, Calliopé, l'atrocità
che ancora suona alle tue orecchie acute,

e che come Rutelli ancor non sa
qual sia la sua attitudine primaria,
ma sa ben donde viene e dove va;

non voglio sian parole asperse all'aria,
non voglio che si librino al suo manto,
non voglio siano di natura varia;

voglio bensì che segnino il mio canto,
con buona pace tua e dell'italiano,
con la speranza di nüocer tanto.

Spiacciati, ignominioso etereo nano,
il mio versificare sì appuntito:
tu sei però soltanto un leviatano

che molti pria di me ha inebetito.
Magari fossi tu soltanto il "male",
magari fossi tu soltanto il mito

da sfatare; la verità è rivale,
e, come un girasole, piega a un lato
che spesso è quello a te più congeniale.

Perciò ho deciso di cambiare prato,
scrivendo per chi ancor vuol ragionare,
senza sciorinare invano il fïato.

Io scriverò in modo singolare
di molte aberrazioni a poco a poco;
ma cedano le vostre di vogare,

sì che tra lor miei versi abbiano loco.

Chi va là?

Sono un diciottenne petulante.
Un appassionato umanista, amante della storia, quale strumento per struggersi in discriminati "se" e in depravati "ma".
Un intraprendente giornalista sportivo.
Un politicante alle prime armi, giacobino e dipietrista.
Un paroliere d'occasione dall'endecasillabo caustico e dal feroce settenario.