giovedì 17 novembre 2011

Au revoir

Evaporata in una nuvola

di seria follia, di verbi malmessi,

di nomi sconnessi e frasi profetiche.


Evaporata in un nugolo

nero, un atroce torpore di gesso,

un ameno torpore nei gesti,

che cresce e non trova più freno.


Evaporata da un nucleo

d'affetti, di chi una così

mai vorrebbe, di chi pïange

anche una così.


Evaporata, verso una nave

la cui chiglia mai nessun vide;

laddove torpori, follie e malori

cedono il palco a chi tanto agognare

celavan, a chi tanto

aspettava te sola.

giovedì 10 novembre 2011

Di cosa abbiamo bisogno

Voto o governo tecnico. Da una parte la certezza di far fare a chi l'Italia vuol che faccia, con tre/quattro mesi sicuri di stasi, se non addirittura di baratro, dall'altro la certezza di giungere il più possibile a far tornare i conti, con la relativa sicurezza di un massacro sociale condiviso e bipartisan.
Da una parte riprovare, com'è consuetudine in democrazia, con la politica, che tanto delude, dall'altra provare con una personalità di sicura abilità e fermezza, ma legata ad una realtà, quella economica, che non bada ai rapporti sociali.
Che dire. Quello che è certo è che validi argomenti non mancano ad entrambe le ipotesi. Ma allora mi sorge spontanea una domanda: ci si è forse chiesti di cosa ha bisogno l'Italia? Ha più bisogno di far quadrare i conti, senza se e senza ma, o di ricevere finalmente uno slancio e un'attenzione più marcata al sociale e non solo alle banche? Cosa vogliamo che faccia, questo senza dubbio grande ed eminente economista? Vogliamo che ponga le basi per ridarci una Nazione, o che, non curandosi di lei, ci salvi lo Stato?
Perché ai conti non importa il come: gli basta il che.

lunedì 24 ottobre 2011

Augustinus de magno fratre - Agostino sul Grande Fratello

Seguito nel mio pontificar latinamente sulla tivù che non vorrei, avvalendomi, per una sì triste ricorrenza, del buon pater Ecclesiae Aurelio Agostino...

Adventa es, aegritudo tam antiqua et umquam nova, adventa es! Et ecce nusquam eras et ego laudabam dominum et te fugebam et mea mente, quae evertere velles, beatus fruibam. Mecum non eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te essent, non essent. Et nunc vocas, et clamas et rumpes coleones meos, coruscas, obscuras, et laedis oculos meos, flagras et titillas spiritum, sed caveo tibi, alibi gusto et alii esurio et sitio, non tanges me, quia exarsi in pacem suam*.

***

Così sei giunta, nefandezza tanto antica e giammai nuova, così sei giunta! Ed ecco, non ti vedevo più ed io lodavo Iddio, ti fuggivo, e fruivo beato della mia mente, che violentar vorresti. Con me non eri, ed io con te non ero. Lontano da te mi tenevan le cose che, se fossero in te, non sarebbero. Ed ora gridi, mi chiami, mi rompi i coglioni, abbagli, offuschi e ledi i miei occhi, mi stuzzichi ed ardi lo spirito; ma io da te mi guardo, altrove gusto, e d'altro ho fame e sete; no, non mi tangi, ché m'infiammai della sua* pace.


* Ovvio che suam è riferito a Piero Angela...

domenica 23 ottobre 2011

Sorrisi e cazzoni

È difficile, Pierferdi, mettere in ridicolo chi ha già deciso di mettersi in ridicolo da solo. Non è certo colpa loro - di Nicolas ed Angela - se siamo ridotti così, se la nostra credibilità all'estero è pari a quella di Topo Gigio. E non sono certo loro ad aver appoggiato Berlusconi per un'intera legislatura, ad averne votato il partito due volte e ad averlo fatto per tre volte Presidente del Consiglio. Non sono certo loro ad averci ridotto in condizioni comparabili a quelle della Grecia, ad averci fatto arrivare al 75° posto nella classifica per la libertà di stampa, dietro - tra le altre - a Benin, Capo Verde, Belize e Vanuatu. Perché vedi, Pierferdi, loro sono abituati a sentire e accettare le critiche anche ben più di te, senza tantomeno ribattere a sguardi e sorrisi con vuote parole, come tanto piace a te, o con querele, come tanto piace a Silvio&co.

No, non riesco proprio a biasimarli, se non per il fatto che trovo quello sguardo e quel sorriso fin troppo veniali. E vedi, Pierferdi, è inutile incapponirsi, ed è sciagurato ergersi a paladini non dell'Italia, ma di questa Italia: perché mentre io preso per il culo non mi sento - e anzi rido con loro - tu vai difendendo cavallerescamente una laida puttana, quanto di più indifendibile, con assurde e vuote parole. Loro hanno avuto il garbo di farci notare per l'ennesima volta quanto lei - la puttana - sia messa male: ringraziarli, quantomeno, sarebbe altrettanto garbato.

martedì 18 ottobre 2011

De hominibus mulieribusque

Quando mi piglia l'indignazione verso la tivù che non vorrei, mi piglia anche un'insana forma di radicalscichismo tale da portarmi ad esprimere la mia indignazione con notevole disprezzo per chi usa il cervello "a guisa di pene canino" (alla cazzo di cane). E come Dante pontificava sul volgare in latino, allo stesso modo pontifico io sui volgari.
Diceva una mia tanto vituperata insegnante: "Il cervello funziona bene, siete voi che non lo sapete usare". O forse non lo volete.

Nescio quomodo possint. Quomodo possint eo spernere vitam, ut illam in illa turpitudine iaciant; quomodo possint, alteri, eorum mentes ad oblium damnare vexareque adsentientes oculos quorum eos spectant.
Nescio quid sit videndum, quia sit videndum. Nescio quia sit cerebrum proprium delendum.
Nescio quis fuerit tam exsecrabilis, ut tam exsecrabilia crearet.
Nescio quia putet anula mea dignum videndu, docile audiendu.
Nescio, sed fieri video et excrucior.

***

Non so come possano. Come possano disprezzare la vita al punto tale da gettarla in quella sozzeria; come possano - gli altri - condannare le loro menti all'oblio e tormentare gli occhi assenzienti di chi li guarda.
Non so cosa ci sia da vedere, perché sia da vedere. Non so perché ci si debba distruggere il proprio cervello.
Non so chi possa essere stato tanto depravato, da dar vita a tanta depravazione.
Non so perché mia nonna lo giudichi degno di esser visto, innocuo al sentirlo.
Non lo so, ma vedo che accade, e me ne tormento.


P.S.: Catullo, perdonami...

sabato 15 ottobre 2011

Contra Silvium

Lo ripropongo per l'ennesima volta, dopo svariate modifiche. Chi mi ama mi sopporti.

Salve, Silvio carissimo, purtroppo
salve, spara, questa mia nobil penna;
niente ha lei in comune con lo schioppo,

niente ti causerà; non un'antenna
capterà quel che dice il mio cantare,
per riferirlo a te, alla tua garenna,

or placido ora trucido or volgare.
Accarezzandoti, con vitrea carta
(forse c'è ancor qualcosa da lisciare?),

sguinzaglierò il mio dir acché tu parta,
non scomodando alcun treppiede o duomo.
Ormai perduta, in ogni luogo sparta,

è la tua dignità, ignobil uomo;
e van con lei le menti chiuse e vili
che giungono a libarsi del tuo pomo

di ‘concordia’ (e impunità): incivili!,
che abitino pure al tuo riparo
dimorino anche all'ombra dei tuoi fili;

tu resti e resterai un vecchio avaro,
che c’ha recato solo gran scompiglio
nella ricerca d'interesse chiaro!

Ahi povero Silvio, povero giglio,
più posa non ha né più scorre a stenti
la penna, succube del mio cipiglio.

Ahi Silvio, vituperio delle genti
del ‘Bel Paese’, ove il "sì" sona!,
poiché i Finiani a te punir son lenti,

muovansi dal Tricorno al Cadibona
e faccian siepe ad Arcore al tuo ingresso
sì che si stampi ai mur la tua persona;

ché prima che tu sia sotto processo
ne passeran di giorni, caro mio,
e forse pure quel del mio decesso:

m'accolga allor nel suo convento Iddio,
io poi m'arrangerò con mente lesta
a ricercar con gioia un loco pio

dal quale defecar sulla tua testa...

mercoledì 12 ottobre 2011

Santoni, ubriachi & co. Il lato bello di Trenitalia

Diciamo pure che le previsioni non sono il lato forte di Trenitalia. I ritardi aumentano e diminuiscono vorticosamente nel giro di un paio di minuti, i binari cambiano come le carte a poker, e le interruzioni della linea elettrica vengono portate all'attenzione del viaggiatore nel momento in cui lui stesso se n'è già accorto. Per non parlare di un esecrabile "Trenitalia si scusa per il disagio", percepito unicamente come presa per i fondelli, e il cui unico effetto sortito è quello di spazientire ulteriormente il malcapitato passeggero.
Ma c'è una cosa che non prevede, che è bella proprio per questo, ed è chi ti si siederà accanto. Perché gli appunti eccedono, i libri stufano, i finestrini bloccati urtano, le tendine divelte innervosiscono, ma la curiosità di farti un minimo di fattacci altrui resta. Così, quando davanti ti si piazza un santone indiano con turbante e barba da brahmino, occidentalizzato solo da una camicia e un cellulare, il tuo interesse non può fermarsi di fronte all'inverecondo odore di curry che emana. Ti accorgi così che, quasi come se volesse stare al passo con la tecnologia del tuo portatilino (che nel frattempo assorbe e decifra gli appunti mal redatti delle lezioni mattutine), cerca di contattare tutta la rubrica del suo telefono, finendo il più delle volte per ripetere invano qualche espressione hindi assimilabile ad un "Pronto?"; e che quando ti alzi per scendere lui ti sta tenendo la porta del vagone con il sorriso. Perché lui scende a Casarsa - e te l'ha ripetuto più volte.
E a sedertisi accanto non sono solo in treno, ma anche nelle panche di attesa in stazione. Chiaro, però, che alle nove di sera tanti santoni non girano. Il meglio che ti si offre è così un quarantasettenne ubriaco, per ammissione - perché dall'alito non l'avresti mai detto -, che bestemmia contro il treno in ritardo chiedendoti se arriverà mai, e mettendosi a ridere alla più seria delle risposte ("Bah, 10 minuti... Ho visto di peggio."), perché gli sembri Crozza. Scopri che abita "a duecento metri, là, sulla sinistra", cosa difficile da dimenticare dato che la ripete ad ogni fine periodo, e che non sei l'unico con cui cerca di approcciarsi: gli passa a tiro un napoletano - che ha chiuso il suo negozio di Pordenone e se ne sta tornando a casa a Conegliano - e comincia a raccontargli di quando, a duecento metri lì sulla sinistra, noleggiava macchine a 25€ all'ora ai militari del sud come lui ("Ma veramente io non sono un militare..."), per poi dirgli di come tutto è finito, più o meno così...
UBRIACO: Lavoravo e facevo soldi. Poi dichiarazione dei redditi imprecisa e pam!, 50.000€ di multa! ovinato.
NAPOLETANO: In che senso "imprecisa"? Ma lei dichiarava?
UBRIACO: Ma no, che discorsi!, solo il 10%... Una mattina, tac!, la finanza a casa. Qua, a duecento metri sulla sinistra. E io in pigiama che vado ad aprirgli. Sono rovinato...
Andava al Casinò di Venezia, e la volta precedente gli spazzini l'avevano svegliato alle cinque del mattino sulle panchine della stazione di Santa Lucia. E sì che abitava a duecento metri, lì, sulla sinistra...

sabato 24 settembre 2011

La cultura e/è la speranza. Dentro e fuori Pordenonelegge.it

"Cultura è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno". È un climax discendente, quello di Karl Kraus, ma che pur celando un aperto pessimismo nel finale, nasconde un grande ottimismo se ci si ferma alla virgola. Prendiamo Pordenonelegge. 100.000 avventori in cinque giorni di rassegna, con la piccola Pordenone ("quella che dista novanta kilometri da Venezia") duplicata: ci vorrebbe coraggio a dire che i più non abbiano ricevuto almeno un po' di cultura. Certo, bisognerebbe vedere quanto abbia attecchito, quanti libri siano stati acquistati e quanti di questi si siano poi salvati dalle mensole dei "vedremo", ma intanto qualcosa si è fatto. Per la cultura, ho visto gente patire la fame, talvolta improvvisando panini durante le file; ho visto vecchie presentarsi tre ore e mezza prima dell'inizio degli incontri; ho visto gente sfidare la pioggia. E ho visto molta speranza: ho visto Mieli anelare ai nostri classici, per ricercarvi il futuro del nostro Paese; ho visto Riondino leggere il lato più umano di chi - Cavour e Garibaldi - troppo consideriamo imbalsamato nei libri di una storia d'Italia quasi solo pragmatica, e per questo distante. Ho visto moduli impregnarsi di firme.
E mentre a Friuli-Doc gli ubriachi cominciavano a popolare le strade, ho visto la piccola Pordenone godersi, una volta per tutte, un "panino con la Divina Commedia".

venerdì 2 settembre 2011

Arrivederci SuperQuark

Ogni anno è un trauma, ai primi di settembre. Specie alla luce del fatto che la vecchiaia avanza e - non me ne voglia il Divo Piero - il timore che possa non esserci una prossima edizione si fa, benché ancora minimo, sempre più acceso. Senza contare l'avvento ormai prossimo di quell'orripilante "addenta-giugulari" del Grande Fratello.
Un anno fa, con gli stessi e medesimi sentimenti di ora, dissi questo sonetto, lo quale comincia: "E come".


E come potrò più io decantare
Il brutto, il bello, il buono ed il cattivo,
senza il supporto tuo nel limitare
il rincoglionimento in quel che scrivo?

E chi mi salverà la giugulare
dalle voraci fauci del suo arrivo,
sapendoti lontano e in alto mare,
e dal ritorno rapido e tardivo?

E cosa mai farò se per disgrazia
dovessi venir meno alla missione
per qualche limite di calendario?

Io scorrerò i giorni del divario
con evidenti brivido e apprensione:
per me non chiedo nessun'altra grazia...

domenica 21 agosto 2011

Per chi suona il Campanile


C’è chi dice che il Campanile di Val Montanaia sia un «urlo di roccia». Ebbene, contemplando dal bivacco Perugini la cortina di roccia che gli si staglia attorno ad anfiteatro, non si può che assentire: alto più di cento metri e largo non più di venti alla base, pare infatti l’unico ad uscire dal coro dolomitico che circonda la valle, rivendicando, quasi con spirito libertino, il proprio essere a sé stante. Già, sembra proprio gridare. Ma cosa? Per capirlo, occorre guardare ben altro.
Sono stato al bivacco Perugini venerdì 19 agosto, assieme a mio padre. Gli ottocento metri di dislivello che lo separano dal rifugio Pordenone, e che si allungano per lo più sul ripido ghiaione del rio Montanaia, valgono veramente la pena di essere fatti. Eppure la solita nota stonata non manca mai: alle pendici del Campanile, imperversavano «cocci aguzzi di bottiglia» (non quelli metaforici di Montale), e tanto all’interno quanto all’esterno del bivacco c’era un macello di pattume e disordine. Senza contare le solite cartacce e i soliti mozziconi gettati qua e là.
Non mi è stato difficile allora comprendere cosa gridasse il Campanile, con insolito e roccioso coraggio: data anche la forma, un assordante e silente «vaffanculo». Il vaffanculo della natura all’uomo.